Il Pane e le Scarpe. In Sicilia, solo la MANIFATTURA di qualità può attivare migliaia di posti di LAVORO.
Se, dal Settecento, non ci fosse stata la moda del Grand Tour, del turismo intellettuale europeo, in nave e poi “a cavallo”, con i suoi reportage grafici, tra realismo e romanticismo, più o meno “mediati” dall’esotismo arcadico…non avremmo molte “immagini” di quella Sicilia. Senza quei viaggiatori colti (tedeschi, francesi, inglesi…) non ne sapremmo nulla. Ma vero è?. In parte è vero. Ma non meno vero è che imponenti studi e dettagliate cronache “made in sicily” –incluse montagne di dati statistici e “notarili”- ci raccontano molto altro. (…)
La costruzione dell’Immaginario siciliano 4.0 nel Mondo del Secolo XXI – un “Codice Trinakria”- … deve attingere criticamente a tutte le fonti: non si butta niente. Neanche il fastidio colonialista di un grande genio, mal-citato e peggio letto, come Goethe: forse allergico alle cipolle e alla…monnezza! (1787). Manco se la sua Germania fosse meno puzzolente (e frammentata sulla tavolozza di colori della geopolitica europea)!. Lo Stato secolare dei Siciliani –per inerzia storica- era, malgrado tutto, qualche Secolo avanti: non fu all’altezza della sua Storia. Punto.
Le preziose narrazioni del Grand Tour ci descrivono “Sicily Park” di alcuni secoli fa con uno sguardo di viaggiatori che – di solito- cercavano conferme a una idea di Sicilia, più o meno “greca”, che avevano già in testa. Quei diari di viaggio li ritengo tanto utili quanto sopravalutati; ma si rivelarono anche ottime “guide turistiche”.
Per esempio “A View of the present State of Sicily” di T.W. Vaughan: “se andate in Sicilia, non serve portarvi abiti di seta, ne trovate quanta ne volete, di alta qualità e a prezzi ottimi!. E non vi servono scarpe e guanti, oltre a quelli che indossate: li trovate di alta qualità e a prezzi ottimi!”. Sorvolo sul “fatti su modelli inglesi…”. E chi lo sa?.
Ora ci fanno anche le scarpe!. “Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso”. (Primo Levi, La tregua).
Ci fanno anche le scarpe. Non stiamo parlando di tv, computer o smartphone; né di auto, navi o aerei… e manco di lampadine. Ci fanno anche le scarpe.
Per quantità (sebbene relativamente), ma soprattutto per qualità, la distribuzione dei consumi primari è asimmetrica: comunque, tanto i ricchi che i poveri, per capirci, mangiano e si vestono. Ma non lo fanno allo stesso modo. E’ una banalità, ma va precisata.
Per esempio… dal cibo alle scarpe… Del cibo e delle due “filiere produttive”, come istituto TerraeLiberAzione, ci occupiamo da un quarantennio – e siamo diventati, in Sicilia, anche un riferimento per giornalisti, studiosi e movimenti come “Simenza”.
Che “ci fanno anche le scarpe!” lo diciamo da decenni, e non solo come battuta ad effetto, in convegni e interviste, comizi di piazza e cene tra amici: “è solo quando inciampi nelle tue scarpe che incominci a mettere a posto le scarpe”. (Arthur Bloch).
Ragioniamo dunque sulle scarpe, in Sicilia, l’Isola dei Poveri ma non ancora scalzi. Non abbiamo ancora dati storici precisi, tranne uno: in Sicilia oggi non si produce manco l’1% delle scarpe che usiamo.
La nostra Scienza del Realismo dialettico ha acquisito da almeno un secolo che la distribuzione dei consumi primari è asimmetrica e maggiormente concentrata, in percentuale sul reddito, nei livelli medio-bassi. Per quanto la forbice dei prezzi –per qualità del prodotto- sia divaricata, un “ricco” mangia comunque 2-3 volte al giorno: non può ingozzarsi 12 volte al giorno!. E consuma realmente un certo numero di paia di scarpe all’anno, non più di un “povero” e così via.
Chiusa premessa. La Sicilia – con circa 5 milioni di bipedi umani – consuma almeno 15 milioni di paia di scarpe all’anno. Possono essere di più e anche di meno: ma come “stima” per ragionare ci pare utilizzabile.
E’ sottinteso che si tratta di scarpe importate e vendute in un mercato neocoloniale: specie dall’industria tosco-padana e dalle sue “piattaforme”, ma non solo: il mercato è mondiale, da secoli. L’industria calzaturiera in Sicilia ha una sua storia millenaria della quale restano solo macerie e oblìo. Oggi, al netto di qualche piccola attività (di grande pregio), la produzione calzaturiera è del tutto irrilevante.
Camminando peri-peri, è il caso di dirlo, abbiamo rilevato una certa ripresa dell’antico e nobile mestiere del calzolaio, anche grazie a lavoratori immigrati: ma non crediamo incida, al momento, in misura rilevante sulla “stima” quantitativa che poniamo a base di questo ragionamento: la Sicilia – con circa 5 milioni di bipedi umani – consuma almeno 15 milioni di paia di scarpe all’anno (oltre a pantofole, ciabatte ecc).
Calcoliamo il costo medio di un paio di scarpe decenti in 50 euro: la forbice dei prezzi, come si sa, è decisamente divaricata e quanto mai… ”asimmetrica”. Ma una media di 50 euro –per ragionare- ci pare plausibile. E –non essendo “pauperisti”- non contestiamo certo il diritto di camminare su ottime scarpe di 200 euro+, semmai contestiamo il fatto che questo diritto non sia “democratizzato”.
Facciamo un primo conto: 5 milioni x 3 paia di scarpe all’anno fa 15 milioni di paia di scarpe. Moltiplicato per 50 euro fa 750 milioni di euro: e l’IVA?.
Diciamo che il “Miliardo” coloniale delle scarpe è servito. A quanti kili di arance o uva di Mazzarrone corrispondano… vabbè, ci siamo capìti!.
Ci fanno anche le scarpe. Non stiamo parlando di tv, computer o smartphone; né di auto, navi o aerei…e manco di lampadine. Ci fanno anche le scarpe.
U Sicilianu Novu camminerà addhitta quando sarà capace di fabbricarsi le sue scarpe (e non serve una laurea al MIT di Boston per capire che solo la manifattura di qualità, in filiere complete, può attivare anche decine di migliaia di posti di lavoro vero e ricchezza sociale immensa!).
“Fabbrichiamoci le scarpe per Camminare Addhitta”, sia chiaro, è anche una metafora che dischiude orizzonti meno pedestri. Gandhi sconfisse l’imperialismo inglese quando si mise a tessere cotone indiano per farsi un vestito. Qui ci fanno anche le scarpe!.
Ma perché?. Il secolare sistema Lombardia conta su 13.000 aziende con fatturato superiore ai 10 milioni di euro all’anno. Il secolare sistema Sicilia ne ha meno di mille. E’ il risultato di scelte politiche e intrallazzi secolari: bancari e ferroviari, doganali e fiscali… fin dal 1860. Questa è l’italietta tricolorata, due “nazioni” a sviluppo diseguale e combinato di tipo neocoloniale. E “guai ai vinti”!. Chi non lo capisce deve farsi curare il cervello. Puntu.
Una RiEvoluzione siciliana nel Mondo del Secolo XXI coincide con lo sviluppo di una nuova e radicata capacità tecno-civile di Sé: altro che ZES neocoloniali e ladri di Sole e di Vento!. Se la pietra lavica valesse di più si smonterebbero macari l’Etna!.
L’Isola del Tesoro è condannata alla condizione coloniale di Isola dei Poveri, colonia compassionevole dell’INPS, svuotata dalla C.E.M. –la Coercive Engineered Migration, che ne regola, da oltre un secolo, il metabolismo sociale. Una sicilietta italienata senza alcuna coscienza di sé, prigioniera autolesionista di uno Spettacolo coloniale totalitario: colonia energetica e mercatino di consumo coloniale… con o senza ZES!.
Vogliamo una “Sicilia nel Mondo” in cui “non vi serve portarvi abiti di seta, ne trovate quanta ne volete, di alta qualità e a prezzi ottimi!. E non vi servono scarpe e guanti, oltre a quelli che indossate: li trovate di alta qualità e a prezzi ottimi!”. Ne riparliamo.
@Mario Di Mauro – Fondatore della Comunità TerraeLiberAzione.